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Lunga vita al comune di Amatrice

Lunga vita al Comune di Amatrice

Il Comune di Amatrice, Borgo della tenacia, della forza, della determinazione e dell’imbattibilità.
Amatrice è stata e sarà ancora il simbolo del successo globale delle cose semplici, fatte con cura e amore.
Sono quelle prelibatezze che ti rimangono dentro per sempre e che vorresti gustare ogni giorno.
Il guanciale del maiale di casa, oggi degli allevatori del territorio, il pecorino del pastore dei Monti della Laga e del Parco, pomodorini San Marzano o pelati, l’olio extravergine d’oliva, peperoncino, spaghetti di qualità, messi sapientemente insieme, hanno dato vita ai famosissimi spaghetti all’Amatriciana.
Rossi o bianchi senza pomodoro, tutto il mondo li vuole, tutti li imitano. Quasi inutilmente perché altrove, mancano i componenti essenziali, l’aria soprattutto, la terra natale, gli amatriciani, l’amore e la cultura per la cucina semplice, unica e inimitabile.
Amatrice ha (quindi) insegnato al mondo che, le cose buone e uniche hanno bisogno di forti componenti come tradizione, amore, tipicità e personalizzazione.

Il Comune di Amatrice: il punto di vista dei giornalisti

Filippo Ceccarelli ed Elena Polidori per “La Repubblica”

“Amatrice era un posto bellissimo, Amatrice, e continuerà ad esserlo se la natura, gli Dei e soprattutto gli uomini se ne faranno carico. Sono pensieri che si fanno dopo.

Amatrice sul momento, alle 3 e quel che era, stretti durante la scossa in un abbraccio che poteva essere l’ultimo, la paura si confonde con l’ amore, e la storia e la geografia lasciano il tempo che trovano. Ma poi questo tempo arriva.

QUEL CHE RESTA DI AMATRICE

Sono secoli che Amatrix fidelis se la vede con i terremoti, una dannazione – color viola nella mappa sismica d’Italia – pari solo allo splendore amichevole delle sue montagne che d’estate, prima dell’ imbrunire, si fanno rosa.

Le cime qui intorno sono alte e verdissime per via delle sorgenti copiose, nei boschi abbondano i funghi, anche due gettate di porcini l’ anno, è tornato il capriolo, qualcuno avvista aquile, qualcun altro lupi, specie in inverno, i più lamentano la presenza dei cinghiali.

C’ è un Parco, del Gran Sasso e dei Monti della Laga, e i giganteschi suini si sono fatti furbi e vi rientrano dribblando i cacciatori.

LIB28, ELENA POLIDORI, FILIPPO CECCARELLI, EZIO MAURO

La Città dell’Amatrice, stemma medioevale come mille altri in Italia, gioiello della Conca ai piedi dei Monti della Laga, quel lembo di Lazio ex borbonico che confina con l’Umbria, l’Abruzzo e le Marche.

La tragedia di oggi non consente di dimenticare che questi luoghi costituiscono il centro e l’orgoglio di una gastronomia conosciuta a livello internazionale (dopo la pizza, gli spaghetti sono il piatto italiano più noto nel mondo). Rossi di pomodoro e guanciale e bianchi nella variante “gricia”. Come ovvio, ci si i divide da sempre sui due generi. La ricetta originale è una specie di controverso e geloso mistero di gastrosofia.

AMATRICE OGGI

Dopodomani era previsto il cinquantenario della Sagra, in versione colossal. La tristezza, ma anche la speranza, è che le attrezzature serviranno a sfamare una popolazione come non mai piegata dal dolore. A tavola non si invecchia mai e il lutto non si addice tanto ad Amatrice ma stavolta il sisma ha squartato ristoranti e cucine, rovesciato frigoriferi, aperto voragini sotto dispense, infranto migliaia di bottiglie di vino. C’erano due belle, bellissime chiese. Ne resta qualche parvenza. Poco più in là, hanno allineato i cadaveri dove nei giorni lieti della villeggiatura si andava a passeggiare o per un aperitivo.

Neanche la retorica si adatta troppo bene a un luogo di rustica spensieratezza. La gloria di Amatrice e delle sue tantissime frazioni, ora in riva al Lago Scandarello ora appollaiate sui poggi ora rasenti la via Salaria, è difficile da riconoscere perché senza pretese. Qui si vive di cose semplici.

FILIPPO CECCARELLI

È la storia di un centro di pastorizia, le greggi portate cento e più anni orsono a svernare nell’Agro romano, su prati e terreni suburbani poi divenuti di colpo preziosi perché edificabili nella città eterna che si faceva metropoli. Molti di quei pastori erranti, i più fortunati, si fecero ricchi, ricchissimi. Fondarono banche e prestigiose aziende, finanziarono squadre di calcio, dispensarono consigli ai più sagaci governanti democristiani.

Alcuni pastori ancora oggi gareggiano in poesia con versi improvvisati e cornamuse, una specie di rap arcaico. Il ballo locale è un antichissimo, scatenato saltarello, mentre l’organetto suona, il busto rimane fermo ma i piedi impazziscono, vorticando in mille piroette.

Ma la maggior parte degli amatriciani inurbati – sono meno di 140 chilometri da Roma – cominciarono come camerieri, poi si fecero chef, quindi proprietari di grandi ristoranti. D’estate, nelle frazioni, non c’è cuoco che non faccia onore al suo mestiere per amici e paesani. Popolazione tanto astuta quanto laboriosa. Montanari però anche abili commercianti. Artisti della battuta scettica, o del sottile sfottò.

Arrivata nel cuore della notte, la morte rischia di oscurare tutto questo – e il ricordo di quegli attimi è ancora peggio. Amici uccisi.

Famiglie distrutte. Figure la cui scomparsa suscita un senso di sconvolgente incredulità.

SOPRAVVISSUTI AD AMATRICE

 La catastrofe sarebbe stata ben peggiore se avesse ceduto la gigantesca diga che contiene le acque del lago, mai come questa estate così pieno. La frana avrebbe sommerso l’intera valle del Tronto, uno tsunami che nessuno avrebbe potuto qualificare con la più vieta e abusata espressione: all’ amatriciana.[…]

Si facevano delle bellissime gite, sul Pizzo di Sevo come sul Monte Gorzano, sulle piste del Tracciolino di Annibale dove la leggenda vuole sia passato il condottiero cartaginese.

I SOCCORSI AD AMATRICE

Si raggiungevano i prati di Cardito, alla ricerca di straordinaria ricotta. A due passi, la ricca Norcia e Cascia con la sua spiritualità, la Rocca di Arquata, Ascoli Piceno con la piazza del Popolo, la più elegante d’ Italia. Ci si spingeva con emozionata partecipazione fino all’ Aquila, la città ferita, ora gemellata nella tragedia.

I verbi all’imperfetto dicono che questo sogno di allegra e solare dimensione rischia di trasformarsi in un incubo di porte schiavardate, tegole come proiettili, solai divelti come fossero di cartapesta, tubature che esplodono, librerie che catapultano volumi per ogni dove, voragini nei luoghi più intimi, antiche pietre di fiume che rotolano su corpi inermi.

AMATRICE

Resta perciò la fatica di pensare al futuro senza nemmeno la certezza di trattenere le lacrime e una fitta al cuore. Amatrice è adesso quella che si vede nelle gallery dei siti e in tv. Montagne di detriti ne storcono perfino il ricordo, ma in certi casi, pensando agli sforzi, alla fatica di tanti uomini e donne di buona volontà, più che sensata, la speranza è obbligatoria[…].”

 

INTERVENTO DURANTE I FUNERALI DEL SINDACO PIROZZI